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  le chiese di ceglie messapica

STUDI E RICERCHE DI PASQUALE ELIA


Quanto segue è una particolare descrizione storica di alcune chiese della città di Ceglie e del suo territorio - non tutte sono oggi visitabili, qualcuna è in rovina, altre sono scomparse e qualche altra è stata dismessa da tempo e oggi riconvertita a destinazione diversa.  

- CHIESA MADRE DI SANTA MARIA ASSUNTA  

- CHIESA DI SAN ROCCO  

- ABBAZIA DI SANT'ANNA 

- CHIESA DI SAN DOMENICO  

- CHIESA DI SAN GIOACCHINO  

- CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA

CHIESA DI SANT'ANTONIO ABATE  

CHIESA DEI CAPPUCCINI  

- CHIESA DELLA MADONNA DELLA GROTTA  

- CHIESA DELLE SCUOLE PIE 

Approfondimenti e argomenti sulle Chiese di Ceglie

In altra parte del sito notizie riguardanti:

- la Chiesa dei Passionisti con la cripta di Sant'Aurelia  

- le Cappelle e  le Chiesette rurali.

Altre pagine con contributi dell'autore:

- Storia di Ceglie Messapica 

- Il Teatro Comunale di Ceglie Messapica 

- Studi e Ricerche varie  

Il feudo di San Michele Salentino


PASQUALE ELIA, nasce a Ceglie Messapica nel 1937.  Conseguito il diploma di Scuola Media Superiore, dopo una brevissima parentesi come impiegato di concetto al Comune di Ceglie, intraprende la carriera militare raggiungendo il grado di Colonnello dell’Esercito. Decorato di Croce d’Oro e Croce d’Argento, Cavaliere dell’ordine “al merito della Repubblica Italiana”.

Attento ricercatore e studioso della storia locale ha pubblicato: "Ai Cegliesi decorati al Valore" (1995); "I caduti di Brindisi e Provincia nella seconda Guerra Mondiale" (1996); "Ceglie Messapica - La Storia"(2000); "Gli Ordini religiosi  a Ceglie Messapica" (2000); "Glossario dei vocaboli dialettali cegliesi" (2000); "Note di Metrologia, Monete, Pesi e Misure in uso nei secoli XVI - XIX" (2000); "Ceglie Messapica, Blasone araldico della Città" ( 2004); "Kailia, Caelia, Ceglie del Gaudo, Ceglie Messapica - La Storia - dalle origini ai nostri giorni" (2008);  "Ceglie Messapica - I Sanseverino" (2008).

Ringraziamo il Colonnello Pasquale Elia  per la gentile concessione alla pubblicazione on line di estratti dei suoi studi e delle sue pubblicazioni.


NOTA INTRODUTTIVA dell'autore

Sono stato stimolato ad intraprendere questa ricerca da un frase lanciata scherzosamente alcuni anni fa, durante un incontro avuto con S.E. don Domenico CALIANDRO, all’epoca Vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, nostro illustre concittadino : “…speriamo che sorga qualcuno che ricerchi i santi della nostra storia di Ceglie perché loro sono la sintesi dei poeti e degli eroi….”
Con ciò non voglio far credere che andrò a scoprire i Santi cegliesi, si conoscerebbero se ce ne fossero, certamente mi aspetto di incontrare personaggi illustri e meno illustri, gente povera e ricca, benefattori e non che hanno fatto la storia di questa nostra Città.
Essi hanno diffuso in questa nostra città, in ogni epoca, il Vangelo; hanno insegnato le arti, le scienze, la musica; hanno raccolto dalla strada ragazzi orfani, diseredati e abbandonati, e, oltre a dare loro un letto ed una minestra calda, molto spesso gli hanno anche istruiti; in definitiva costoro hanno contribuito massicciamente allo sviluppo culturale ed educativo della nostra gente. Nelle pagine che seguono noterete quanti cegliesi, di origini molti umili, hanno raggiunto il sacerdozio, grazie alle comunità religiose dislocate sul territorio (Cappuccini, Domenicani, Guanelliani, Passionisti). E per chi viveva alla giornata, sprovvisto del minimo indispensabile, raggiungere il traguardo del sacerdozio era una meta davvero eccezionale.
La posizione del luogo di culto all’interno del Casale di Ceglie o Villa di Ceglie (così era conosciuta intorno all’anno Mille questa città) rispondeva ad una scelta urbanistica ben precisa.
Perlopiù le chiese venivano costruite alla periferia dell’abitato (Abbazia di Sant’Anna) o perché edificate in un secondo momento e aggiunte alle abitazioni civili per una successiva organizzazione ecclesiastica del territorio (Chiesa della Santissima Annunziata e di Sant’Antonio Abate) o per rispettare in un sito più appartato la sacralità del luogo di culto. Vicino alla chiesa talora si osserva l’abitazione del custode o del prete, collegata al luogo di culto solo esternamente (Abbazia di Sant’Anna), o con passaggi di disimpegno interno (chiesa di San Rocco). Davanti o sul retro (Abbazia di Sant’Anna) o accanto alla chiesa stessa era sistemata l’area cimiteriale con tombe a fossa. In seguito la sepoltura fu portata all’interno e sotto il pavimento della Chiesa stessa (Chiesa Madre, Chiesa di Santa Maria degli Angeli - Cappuccini). Questo stato di cose durò fino all’emanazione dell’editto di Saint – Cloud, nel 1804, il quale ordinava a tutti i comuni di costruire cimiteri fuori le mura urbane.
Il fenomeno del cristianesimo a Ceglie, (Caeliae in epoca romana), sembra insorgere con grande forza propulsiva già nella seconda metà del II secolo d.C. Un primo edificio, seppure piccolissimo del nucleo centrale di aggregazione cristiana a Ceglie può ipoteticamente essere sorto già prima dello storico incontro tra Costantino e Licinio, che produssero il ben noto documento di liberalizzazione in campo religioso, il cosiddetto Editto di Costantino (Milano 313 d.C.). Questa mia convinzione è dovuta al fatto che in questa nostra città nacque e fu, tra l’altro, anche battezzato, Giuliano - l’apostata - (385-450/4), scrittore ecclesiastico latino del IV secolo. Fu eletto vescovo, abbracciò la teoria pelagiana, fu scomunicato, esiliato dall’Italia, morì povero e solo in uno sconosciuto villaggio della Sicilia meridionale. Egli è, sicuramente, il primo vescovo della storia della diocesi Brindisi - Oria. La Chiesa cegliese, quindi, da secoli accompagna la storia di questa comunità. Essa ha sempre avuto una forte incidenza sulla vita sociale, culturale ed economica di questa città. La relativa scarsità d’informazioni delle fonti documentarie ha di certo complicato le fasi di una ricerca tesa a proporre una ricostruzione storicamente fondata e scientificamente persuasiva degli edifici e delle eventuali preesistenze. E’ da supporre quindi che il Tempio in argomento potrebbe essere identificato con la Chiesa Maggiore ossia la nostra Chiesa Madre dedicata a Santa Maria Assunta. E’ il patrimonio di una comunità che, in tempi recenti, ha subìto rapide e profonde trasformazioni di cui è stata sempre silenziosa, costante testimone.
Con l’arrivo di Aurelia Sanseverino, baronessa di Ceglie, all’inizio del XVI secolo, aumenta il fervore e la vita religiosa della chiesa.
Aurelia e il marito don Giovanni Sanseverino promossero, infatti, tra il 1521 e il 1525, la ristrutturazione della Chiesa Madre; nel 1534, la costruzione di un convento per suore (vecchia casa comunale), in seguito il complesso fu occupato dall’Ordine dei frati Predicatori, ossia dai domenicani, i quali, nella seconda metà del XVII secolo, costruirono la Chiesa, conosciuta dai cegliesi sotto il nome di San Domenico, invece, é dedicata a San Giovanni Evangelista.
La mia ricerca si prefigge di far conoscere la storia degli antichi luoghi di culto di questa nostra bella terra.

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CHIESA MADRE DI SANTA MARIA ASSUNTA

di Pasquale Elia

Questa Chiesa Collegiata è Matrice stà eretta, e fondata sotto il titolo dell’Assunzione della Beatissima Sempre Vergine al Cielo, ed è situata su la cima del monte (m.303 s.l.m.), ove si trova posta la Terra, e proprio avanti del Palazzo di questo Illustre Signor Duca. Il Santo Titulare e Padrone principale della Terra è il Glorioso Sant’Antonio da Padova, e se ne celebra la festa alli 13 di giugno…”.

”Non si trova fondazione di questa Matrice e Collegiata Chiesa di questa Terra di Ceglie, ma solamente quella che, al presente, apparisce essere stata fabricata nell’anno 1521, come si osserva dalle iscrizioni apposte sopra la Porta maggiore di questa Chiesa, in tempo, dei Signori Sanseverini, Conti della Saponara, erano utili Baroni di questa Terra. Si trova registrato bensi essere stata decorata in forma di Collegiata dalla F.m. di Mons. Lucio Fornaro (Fornari), Vescovo d’Oyra in visita nell’anno 1606…”.

  “..La forma di essa Collegiata Chiesa da fuora non apparisce di mal struttura essendo del di fuora ben lavorata, tutta di pietra viva, e salendovi di due gradini, si vede una piazzina avanti lunga per quanto è larga la Chiesa e larga di dodici palmi che servono per atrio della medesima, per lo quale si entra da la Porta maggiore posta dalla parte di Occidente, come generalmente sono le porte delle buone chiese, per sinuarsi nello Oriente l’Altare maggiore…”.

”..la Chiesa è formata principalmente da tre Navi, quella in mezzo grande, e l’altre a fianchi più piccole standovi aggiunte nella parte sinistra un’altra nave con due cappelle, una del Glorioso S. Antonio da Padova, un’altra del SS. Sagramento, che per detta nave si rende la chiesa tanto quasi larga quanto lunga essendo lunga palmi 69 e larga palmi 68….”.

* Questa è la descrizione che ci dà, il 15 gennaio 1746, il Rev. don Donato Maria Lombardi, Arciprete della Chiesa Collegiata di Ceglie.

            La vecchia Chiesa, quella altomedioevale, fu ristrutturata (reparavit), tra il 1521 e il 1525, fin dalle fondamenta (funditus), al tempo dei coniugi Aurelia e Giovanni Sanseverino, i quali vollero fortemente quell'opera, con il contributo dell’Universitas (odierno Comune) e di tutto il popolo cegliese. A ricordo di quell’impresa fu collocata sulla facciata del Tempio una lapide. Quel termine reparavit ci dà ad intendere che all’epoca preesisteva altra chiesa, edificata certamente, alcuni secoli prima, se teniamo per buono che nel IV secolo nacque a Ceglie e quivi fu battezzato Giuliano, vescovo di Eclano, strenuo assertore delle teorie pelagiane.

Con Bolla Pontificia, datata Velletri 4 gennaio 1182, il Papa Lucio III, concede, a favore di Pietro da Guinardo, Arcivescovo di Brindisi e Oria, …….l’uso del Pallio alla Villa di Ceglie e non all’Abbazia di Sant’Anna di Ceglie….. Da questa Bolla dobbiamo ipotizzare che la Villa di Ceglie (intesa come città, paese, villaggio) era stata ceduta, durante il periodo normanno, in feudo o in censo o in altra forma alla Curia brindisina, meglio ancora, credo, alla Curia oritana, perché Ceglie apparteneva, per territorio, alla diocesi di Oria (le diocesi conservarono la ripartizione dei municipi romani). In quel tempo le due diocesi erano sotto un unico Pastore con sede in Brindisi. Fu, infatti, Papa Gregorio XIV con Bolla del 10 maggio 1591 a separare le due Cattedre e ordinò che Brindisi e Oria avessero ognuna il proprio vescovo . Nella realtà poi il vescovo arrivò nella sede di Oria soltanto nel 1596, nella persona di Mons. Vincenzo del Tufo (1596-1600).

I coniugi Sanseverino erano originari di Saponara, poi Grumento Nova in provincia di Potenza. Quella città era il feudo prediletto di quel ramo non meno importante dei Sanseverino.  I personaggi più in vista di quel Casato furono, per la maggior parte, tumulati nella Cappella della famiglia in quella città. A quei tempi, non c’erano ancora i cimiteri, si usava perciò seppellire all’interno delle chiese. Le famiglie agiate e il Clero facevano costruire le Cappelle (gli altari laterali) dove poi riservandosi lo jus Patronatus vi tumulavano i loro cari, mentre la gente comune veniva interrata in cimiteri allestiti, di norma, all’esterno delle chiese, o sotto il pavimento delle stesse (cripta). E’ noto a tutti che sotto il pavimento della nostra chiesa Madre sono accatastati centinaia di cadaveri; la cripta era infatti adibita, fin dall’antichità, alla sepoltura della popolazione cegliese..

Per quanto sopra in questa nostra Chiesa Madre fu sepolto, nell’ottobre del 1602, Fabrizio Sanseverino. Il fratello Lucio, vescovo di Rossano (Calabro),  fece costruire “…. dentro la Chiesa Maggiore, una Cappella dedicata alla Santissima Concezione.

Mi preme rammentare, che il Duca don Diego Lubrano, nel 1630, fece costruire nella Chiesa Madre, a sue spese, una Cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova, Patrono della Città riservandosi lo Jus Patronatus, ossia il diritto di farsi ivi seppellire. Quella Cappella è tuttora esistente nella nostra chiesa, e ancora ai nostri giorni, è dedicata a Sant’Antonio da Padova. Trattasi del secondo altare nella navata di sinistra. Quell’altare, per i marmi utilizzati, per la precisione delle incisioni, a mio parere, è il più bello ed anche il più prezioso. Sul sarcofago in marmo posto sotto l’altare fa bella mostra la scultura di un busto del Santo portoghese con un bambinello in braccio che non ha eguali nella Regione. Ha, tra l’altro, anche un tabernacolo con una porticina in argento massiccio con stampigliata l’effige in altorilievo del Santo. E’ da ritenere quindi che all’atto della ristrutturazione della vecchia chiesa per far posto al nuovo Edificio l’intero altare fu, dapprima, smontato e poi ricomposto, pezzo su pezzo, da maestranze locali con certosina pazienza, nella nuova chiesa. Altrettanto si può affermare per la Cappella fatta erigere dal vescovo, poi cardinale, Lucio Sanseverino, nel mese di ottobre del 1602, alla morte del fratello Fabrizio. Quell’altare, dedicato all’Immacolata Concezione, è situato nella navata destra dell’odierna chiesa ed è la seconda dall’ingresso.

            Altri altari della preesistente chiesa sono l’ultimo dall’ingresso nella navata di sinistra e quello dedicato al SS. Crocifisso, nelle immediate vicinanze della sagrestia.

         Alla chiesa  fu riconosciuta la caratteristica di “Chiesa privata” legata cioè al patrono. Erano le università o i Comuni i principali patroni delle chiese, ma anche principi e benestanti, e a volte anche i Capitoli delle chiese.  Il Clero, più che al proprio vescovo era ligio al patrono.  Questo era il tipo della cosiddetta “chiesa ricettizia”. La Chiesa di Ceglie fu dall’inizio del secolo XVII elevata all’onore di Collegiata.  Il Clero e i Comuni ai quali apparteneva il patronato delle stesse furono molto gelosi della collegialità e non sopportavano le ingerenze vescovili che consideravano come una diminuzione di diritti e di privilegi.   Il passaggio da semplici chiese ricettizie a collegiate fu possibile perché l’università e il clero avevano raggiunto una posizione di rispetto nei confronti del resto della diocesi, come si legge in una dichiarazione del Capitolo di questa nostra città:Li motivi sono imponenti, e oggi più dell’epoche trasandate, Ceglie al presente è uno dei Comuni della Provincia di prima Classe, mentre tiene una popolazione di circa novemila abitanti. La sua cultura nelle Scienze e nelle Arti risplende in Ceglie a preferenza di qualunque Comune cospicuo della Provincia. La floridezza del Commercio e più la coltura de’ feudi rustici formano l’invidia dei più floridi Comuni.   “ Quel che però più muove si è un Popolo sì numeroso che ha bisogno di tanto aiuto Ecclesiastico, di avere la Chiesa sempre addetta alle Sacre funzioni e alle continue Liturgie per partecipare di tutti i beni che può porgerli la chiesa; quali ponno ottenersi da una Collegiata che per suo Istituto ne viene ad esercitare tali funzioni. Si aggiungi dippiù, che il vasto popol di Ceglie non ha altro suffragio di Chiese pubbliche fuoricché quella sola dei PP. Cappuccini, destituta dell’altra che pria aveva de PP. Domenicani già soppressa.    

La Chiesa Matrice fu elevata al rango di Insigne Collegiata, nel 1606,  Nella diocesi di Oria le collegiate in ordine di importanza sono classificate, prima Francavilla, seconda Ceglie, terza Manduria, quarta Latiano.

            Mercoledì 20 febbraio 1743, alle ore 23.45, ultimo giorno di carnevale – riportano le cronache del tempo – una disastrosa scossa tellurica, del 5°-6° della scala Mercalli, colpì il Salento con epicentro il Canale d’Otranto provocando, tra l’altro, non pochi danni. Le città più colpite dal sisma, con gravi danni a cose e persone, di cui si hanno notizie, furono Brindisi, Lecce, Francavilla, Nardò, Oria, Mesagne, Manduria. Ma anche Ceglie non fu da meno, per niente risparmiata dal disastroso evento. Non ho notizie di vittime fra la popolazione, potrebbero però essercene state.  Manifestazioni di penitenza e di ringraziamento per lo scampato pericolo si svolsero in tutti i centri coinvolti dal sisma, ma l’emergenza sarebbe continuata nei mesi successivi. Mentre tutti erano intenti a riparare i danni cagionati dal terremoto del 20 febbraio, altre due scosse, sempre del 5°-6° della vecchia scala Mercalli, si fecero sentire nel mese di ottobre: l’una alle ore 09.00 del giorno 11 e l’altra alle ore 08.55 del 31.  Le pareti della chiesa, già lesionate con la scossa del mese di febbraio, potrebbero averne risentito.

Fu pertanto decisa la costruzione di una nuova Basilica con il contributo volontario di tutti i cittadini di ogni ceto sociale. Le esigenze della popolazione intanto erano cresciute, quindi, anche la chiesa fu progettata e costruita più grande e più bella, così come noi la vediamo oggi.  Per fare spazio alla costruzione del nuovo Tempio, progettato dall’Arch. Don Giambattista Broggia della Città di Napoli,  fu abbattuto - scrive il cronista domenicano -…un orologio (a meridiana, fatto costruire, intorno al 1568, da Giovanni Giacomo Sanseverino, IV conte di Saponara), “…..posto a ponente, nell’orto di proprietà della stessa Chiesa Matrice e l’Arco della Madonna della Grazia, posto a leuante….” L’Arco della Madonna della Grazia quindi si trovava alle spalle dell’attuale edificio, mentre l’orologio a meridiana doveva trovarsi, all’incirca, dove ora insiste la facciata principale della chiesa, ossia proprio di fronte all’ingresso del castello.

 

 Alla luce di quanto sopra dobbiamo ritenere, pertanto, che l’odierna chiesa non fu ricostruita ex novo fin dalle fondamenta, ma fu restaurata, riattata ed ampliata alle esigenze della accresciuta popolazione, quella fatta costruire dai coniugi Aurelia e Giovanni Sanseverino tra il 1521 e il 1525. Tra l’altro, come già citato, anche alcuni altari laterali sono gli stessi di quel vecchio Sacro Edificio.

Le colonne poste ai lati del pozzo nel cortile del castello sono di fattura più antica e di materiale, decisamente, diverso da quello del castello. Quelle colonne potrebbero appartenere al portico della chiesa preesistente. L’attuale facciata della Chiesa Madre ha, per esempio, la parte litica più bassa costituita da materiale diverso da quello dell’intero Tempio. Il motivo potrebbe essere che le pietre utilizzate per la costruzione della facciata provenissero da due diverse cave di cui una non in territorio cegliese o, meglio ancora, forse l’ipotesi più credibile, potrebbero essere quelle della vecchia chiesa abbattuta. Sono solo delle congetture, tra l’altro, non suffragate da alcuna documentazione.

L' attuale Chiesa è un edificio a struttura classica, a tre navate, ha l’interno a croce greca prolungata completata dalla cupola che si trova in verticale sopra il centro della croce a formare l’abside. L’altare maggiore è collocato sotto l’occhio della cupola e sempre al centro della Croce formata dalla navata centrale col transetto. Su ciascuna delle tre navate laterali ci sono tre cappelle.

Il luogo sacro  custodisce alcuni dipinti di Domenico Carella tra cui una Cena biblica con veduta prospettica di Ceglie fine ‘700, l’Ultima Cena, l’Assunta, la Madonna della Grazia con Bambino tra i Santi genuflessi Vincenzo di Paola e Filippo Neri.  Di pregevole fattura è il “Cristo uscente dal sepolcro” di pietra policroma, attribuito a Raimondo da Francavilla, incastonato in una parete della sacrestia, al quale fa riscontro il “Crocifisso” ligneo in cui la figura di Cristo – scarno e quasi consunto – fa ammutolire per l’austera severità. Affiancato il campanile tozzo e massiccio con le sue campane, il cui rintocco è ascoltato in tutto il Borgo medioevale, e non solo.

 

Nella chiesa è custodito il simulacro di Sant’Antonio da Padova, Patrono della città, cui si affianca una tela del taumaturgo patavino firmata da Pacecco de Rosa.

L’Amministrazione comunale cegliese in data 14 marzo 1823 inviava al vescovo di Oria una supplica (richiesta) nella quale chiedeva il permesso di festeggiare Sant’Antonio da Padova il giorno della sua ricorrenza (13 giugno) e non la domenica successiva com’era sempre stato fatto fino a quel momento. L’autorizzazione evidentemente fu concessa, infatti, la ricorrenza ormai si festeggia il 13 giugno.

Il Tempio fu consacrato, nel 1789, dal vescovo di Oria, S.E. Mons. Alessandro Maria Calefati, durante il regno di Ferdinando IV di Borbone (con l’unificazione del regno di Napoli e del regno di Sicilia, nel 1806, Ferdinando IV assunse il nome di Ferdinando I, re delle due Sicilie).

Nel 1893, fu rifatta la pavimentazione così come è oggi, a cura e spese del Comune. Il Sottoprefetto di Brindisi (Ceglie allora era in provincia di Lecce), nel trasmettere la delibera al Prefetto di Lecce per la definitiva approvazione segnalava la “…grave irregolarità commessa da quel Municipio coll’aver deliberato di concorrere a tale spesa dopo che l’opera era stata eseguita…”. La Giunta Provinciale Amministrativa, organo di controllo dell’epoca, nella seduta del 25 maggio 1893, approvava “…..il fatto compiuto……”

 

A titolo di cronaca Ceglie aveva, nei secoli passati, all’interno delle mura oltre a quelle già menzionate anche la chiesa di Ognissanti, di San Martino, poi, di San Demetrio, di San Giovanni Evangelista dello Spedale ossia San Domenico, fuori le mura, invece, l’Abbazia di Sant’Anna, San Nicola, San Sebastiano (Scuole Pie), San Giovanni, San Rocco, San Michele, le Croci, Madonna della Grotta, Santa Maria degli Angioli ossia la chiesa dei Cappuccini.

Il Real Dispaccio 8 ottobre 1785, invitava le Chiese Collegiate sprovviste di regio assenso, a predisporre entro due mesi i loro Statuti. Gli arcipreti avrebbero dovuto spedire copia degli Statuti al Cappellano Maggiore in Napoli per ricevere l'assenso della Real Camera di Santa Chiara. Non conosciamo, almeno lo scrivente non è a conoscenza, se l'Arciprete cegliese del momento abbia poi redatto lo Statuto.

 

Il Capitolo era costituito da un numero prefissato di unità (Arciprete, Canonici, ecc.). Altre figure rappresentative del Capitolo erano oltre all'Arciprete, il Decano, che sostituiva l'Arciprete in caso di assenza o di morte, l'Economo o Vicario foraneo, che curava gli affari minuti della chiesa e il Maestro di Cerimonie, che dirigeva e regolava le sacre funzioni.

L'Arciprete doveva essere, necessariamente, dottore dell'una e l'altra legge, e solo a lui competeva istituire pubbliche processioni o altro, a suo arbitrio. Inoltre era riservato a lui la celebrazione dei battesimi e dei matrimoni, i cui proventi costituivano i diritti della stola.

 

Una delle principali fonti di introito per la Insigne Collegiata era costituita dalle Decime Sacramentali.

La chiesa, oltre ai servigi religiosi da rendere alla popolazione, era obbligata alla tenuta del Registro della popolazione o Stato delle anime.

 

Con l'avvento dei francesi nel regno di Napoli, le Decime vennero abolite e sostituite dalla Congrua.  Questa veniva pagata dai Comuni.

Tale decisione venne confermata poi dalla legge 13 febbraio 1812. Lo Stato delle anime passò di competenza dei Municipi che istituirono i Registri dello Stato Civile.

A seguito del Decreto Luogotenenziale 17 febbraio 1861 furono soppresse, nelle province napoletane e siciliane, insieme agli Ordini monastici, anche i Capitoli delle Chiese Collegiate, non aventi cure d'anime.

Con la successiva legge 7 luglio 1866, furono soppresse tutte le Chiese Collegiate (con o senza cure d'anime) e con legge 15 agosto 1867 anche le Chiese ricettizie. Da quella data le Chiese Collegiate rimasero delle semplici PARROCCHIE.

Quando con la precitata legge i beni furono incamerati dallo Stato, essi furono poi venduti all’asta a privati. In tal modo, arredi sacri in metallo prezioso, appezzamenti di terreno, case, libri, dipinti, vere e proprie opere d’arte fecero la fortuna di agiati cittadini.

 

In questa chiesa, come nelle altre, furono istituite delle Confraternite. Queste erano delle associazioni di laici che fiancheggiavano l'opera della Chiesa e sovente furono da essa utilizzate per arginare le irruzioni eretiche. Le Confraternite hanno rappresentato, attraverso i secoli, il mezzo tradizionale di attivazione del fervore religioso e della pratica cristiana dei laici.   

 

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CHIESA DI SAN ROCCO

di Pasquale Elia

Alcuni storici affermano che sulla collina ove ora sorge la chiesa intitolata al nostro San Rocco, un tempo si trovava un tempio dedicato al dio Apollo. Quel tempio pagano mutò nome in epoca cristiana ed edificata una Cappella intorno al 500.

Il Tempio dedicato al nostro Santo Patrono fu probabilmente costruito tra il 1580 e il 1595. Il Santuario di San Rocco, così conosciuto fin dai quei tempi antichi, fu costruito sul punto più alto di una collina, sul posto dell'antica Cappella,  quando la gente, afflitta da molte pestilenze, cominciò a rivolgersi a questo Santo, protettore degli appestati.

L'edificio sacro, così come noi lo conosciamo oggi,  fu realizzato su progetto del 1881 dell'ing. Antonio Guariglia di Lecce. Per le ardite soluzioni architettoniche e l'elegantissima cupola ancora oggi, desta entusiasmo ed ammirazione. Il Santuario fu costruito con la fattiva collaborazione dell'intera popolazione cegliese, ed in principal modo dagli abitanti del rione (all'epoca contrada) "Mammacara".

Sotto il pavimento, all'atto della costruzione, fu ricavata una cisterna che raccoglieva l'acqua piovana necessaria a soddisfare le esigenze dell'intera comunità parrocchiale.  Tutti potevano attingere acqua da quella cisterna e dall'interno dell'edificio che dall'esterno. A quei tempi quella cisterna era meglio conosciuta come "acquara di San Rocco".

La chiesa è composta da tre navate, una centrale e due laterali e da una quarta trasversale che dà a tutto il Tempio una forma di croce. La facciata anteriore è dello stesso stile del Duomo di Taranto. A destra e a sinistra, della facciata, furono ricavate quattro nicchie in cui dovevano essere collocate altrettante statue con al centro ed in alto quella di San Rocco.

All'interno del Tempio oltre alla statua lignea del Santo, datata XVIII secolo è custodita anche quella litica, datata XV secolo, proveniente dalla vecchia Cappella, abbattuta per fare posto al nuovo edificio.

Il campanile a quattro fornici, con altrettante campane di varie dimensioni e suoni è posto proprio sulla perpendicolare della sagrestia originale, poi con i lavori di riordinamento effettuati da don Oronzo Elia (per i cegliesi: Papa Ronz'), la sagrestia fu trasferita dove si trova oggi.

La chiesa di  San Rocco fu eretta a Parrocchia, nel marzo 1855, da Mons. Luigi Margarita, Vescovo della diocesi di Oria, a seguito dell'assenso concesso da Ferdinando II di Borbone, Re delle due Sicilie.

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ABBAZIA DI SANT'ANNA

di Pasquale Elia 

La chiesa, extra moenia, di Sant'Anna situata all'estrema periferia Nord-Ovest della città è di epoca certamente altomedioevale. In origine, unitamente alla Cappella dedicata a San Nicola di cui oggi, di quest'ultima, rimane solo il nome della Contrada (immediate vicinanze odierno campo sportivo) era un vasto monastero benedettino. Nell'atto del notaio Cornelio Vacca sono menzionati gli ortali detti di Sant'Anna e di San Nicola. Tra l'altro, nella cappella intitolata a San Nicola, così come in quella dedicata a San Michele, veniva celebrata l’Eucarestia con il rito greco.

Rilevamenti recenti hanno stabilito, con certezza, come l’Abbazia di Sant'Anna sorga sui resti di un antico tempio pagano, frettolosamente ritenuto di Giunone.  Possiamo ipotizzare, pertanto, che quel tempio fosse dedicato a Latona che, come la Madre della Vergine Maria nel mondo cattolico, era invocata dalle popolazioni elleniche e latine a protezione delle partorienti. Infatti, nei primi secoli, i Cristiani, per analogia, solevano dedicare i templi pagani trasferiti al culto cristiano e le chiese che sorgevano sui loro resti, ai santi che nel martirologio contassero poteri identici a quelli degli dei della vecchia mitologia.  Allo stato attuale delle conoscenze, le prime notizie, secondo un antico documento è custodito presso l'Archivio Capitolare della Basilica Cattedrale di Brindisi. Trattasi, infatti, di una Bolla, data a Velletri il 2 gen. 1182, con cui il Papa Lucio III, [al secolo Ubaldo Alluncingoli, nato a Lucca - data sconosciuta - morto a Verona il 25 nov. 1185], concedeva a favore di Pietro da Guinardo Arcivescovo di Brindisi e Oria …………..l'uso del Pallio alla Villa di Ceglie e non all'Abbazia di Sant'Anna.  La parola latina Villa deve intendersi Villa(ggio), insediamento urbano.

            Nel 1710, la Basilica fu interamente ricostruita ed arredata a cura e spese del Capitolo cegliese (lapide sul portale di destra della chiesa). E' fornita di un campanile a vela con due piccole campane e di una casetta che veniva utilizzata dal custode (odierno sagrestano).

            Alle spalle della chiesa era localizzato un piccolo cimitero, in uso fino al 1884 quando furono “suggellate”. Le vittime dell'epidemia colerica del 1854-55 furono seppellite in quel camposanto. L'accesso alla necropoli avveniva attraverso un corridoio che corre sul lato destro della chiesa stessa, ma vi si può arrivare anche dall'interno attraverso la sacrestia. Quell'ingresso indipendente dava la possibilità di far visita ai propri cari defunti anche quando la chiesa rimaneva chiusa.

            Della vecchia costruzione rimane solo un protiro nascosto nella parte posteriore della chiesa stessa.  In essa sono custoditi affreschi di grande valore storico ed artistico. E' raffigurata, tra l'altro, una Sacra Famiglia di ignoto autore, una Madonna con Bambinello tra i santi Cosma e Damiano genuflessi. Inestimabile, poi, è la statua lignea raffigurante la Mamma della Vergine Maria, datata 1715.

         L'Abbazia di Sant'Anna possedeva, tra l'altro, una Grància, anche Gràngia. Per Grància o Beneficio, indicava una fattoria di conventi, il convento stesso. Termine francese grange, granche, latino tardo grànica, granum, nella Lex Baiuvariorum. Nel latino medioevale, anno 1319, è documentato grantia "cascinale". La voce è passata dal francese anche nello spagnolo e all'italiano meridionale, nel medioevo, s’indicava, pertanto, una coltivazione agricola dipendente da una Abbazia o da un Priorato. Tutte le chiese di Ceglie, eccezion fatta per quella dei Cappuccini, possedevano Grànce, ovvero un appezzamento di terreno. La più ricca era, di certo, quella di San Domenico, anzi era la più ricca del Regno delle due Sicilie. Nel XIV secolo, l'Abbazia fu abbandonata dai frati benedettini. Il vescovo di Brindisi e di Oria affidò pertanto la struttura, unitamente alle proprietà (Grància), al Clero cegliese che per mezzo di un Procuratore ne amministrò i beni. Gli utili ricavati dalla Grància servivano per le necessità immediate dell'Abbazia stessa e il sostentamento dei suoi abitanti (frati), oltre che per l'acquisto di quanto necessario per le sacre funzioni (ceri, olio per l'illuminazione, particole, vino, ecc.).

La diocesi di Oria fu separata dalla sede di Brindisi nel 1591, alla quale era stata unita intorno al 1100. Fu Papa Gregorio XIV con Bolla del 10 maggio 1591 che separò le due diocesi e ordinò che Brindisi e Oria avessero ognuna il proprio pastore.

Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui, nel 1182, il Papa Lucio III concede il Pallio a favore dell'Arcivescovo di Brindisi Pietro da Guinardo.

Dagli altri atti notarili ricaviamo che il rev. Abbate Antonio Durso (dovrebbe essere D'Urso), Abbate di Santa Anna della Terra di Ceglie concede in affitto a Giovanni Domenico Barletta le Terre di detta Abbazia di Santa Anna consistente in una masseria di terre fattizie macchiose con chiusa, cisterna, arbori di pero e altri membri dentro tutto quello nella detta Abbazia tiene nel territorio di Ceglie in loco detto Paglionico e Manzano li ortali detti di Santa Anna, San Nicola, giardiniello et altri beni.  Alcuni mesi dopo (27 ago 1589) l'Università (Comune) cegliese e per essa il Sindaco e gli Eletti, firmano con l'Abbate Antonio Durso un atto di permuta delle case con giardino per la costruzione del nuovo monastero dei PP. Cappoccini.  L'Abate Antonio D'Urso era l’amministratore dei beni dell'Abbazia, a quel tempo noto come Procuratore. L’abate, come gli altri delle grance soggette alla Cattedrale (Oria), aveva l’obbligo di recarvisi nelle principali festività ed in occasione della solennità dell’Assunta, in particolare, per il dovuto atto di obbedienza al vescovo. Il 4 marzo 1596, il Capitolo affitta a Nardo (Leonardo) Salamina di Mesagne, la masseria di detto reverendo Capitolo della Abbazia loco de Santa Anna, la quale possede nel territorio di Ceglie, loco nominato Paglionico, tanto le terre aperte quanto quelle chiuse, casella, pagliara et una cisterniola d'acqua.Notiamo che il Capitolo è subentrato all'Abbate D'Urso nell'amministrazione dei beni, è da pensare pertanto che quest'ultimo, alla data del 4 marzo 1596, fosse morto o trasferito ad altra sede. Il 7 aprile 1604 fu appianata una controversia nata tra il Capitolo di Ceglie e Donato Appruzzesi su alcune differenze sorte sulle terre della masseria Paglionico una volta della Abbazia di Santa Anna, con copia della sentenza della corte di Ceglie.  Il Capitolo non era capace di amministrare i beni dell'Abbazia di Sant'Anna, tanto che il 23 dic. 1747 firma un atto con Giovanni Ammazzacorsa di Monopoli per li frutti dell'Abbazia di Sant'Anna con terze decorse e non pagate fin dal 1597 .

Il massimo sconvolgimento che la storia ricorda fu la Rivoluzione Francese. In Italia il movimento rivoluzionario cominciò ben presto. Nel meridione ebbe pieno potere con il decreto n°448 del 7 agosto 1809 a firma di Gioacchino Murat, creato Re di Napoli, nel 1808, da Napoleone. Il decreto citato prevedeva e prescriveva, all'art. 15 la soppressione degli Ordini Religiosi  con "il pretesto che essi avessero ormai fatto il loro tempo. Tutti i beni degli Ordini Religiosi e tra questi anche quelli dell'Abbazia di Sant'Anna furono confiscati sotto gli ordini e la vigilanza degli Intendenti e poi venduti all'asta. Quando la chiesa di San Rocco fu elevata a Parrocchia (12 gennaio 1853 da Mons. Luigi Margherita, vescovo di Oria, con assenso di Ferdinando II di Borbone, Re delle due Sicilie), e la sua circoscrizione territoriale inglobò anche l'Abbazia della Santa in argomento, la gestione della vecchia Abbazia fu devoluta al parroco del Santo di Montpellier. Sant'Anna è la protettrice della nostra città.

Nei pressi della chiesa c'era la cosiddetta "ruota" dove venivano portati ed abbandonati alla loro sorte i bambini meglio conosciuti come "figli di nessuno". In occasione della festa, usanza antichissima cegliese vuole che si debba accendere un cero alla Santa. Numerosissimi sono i patronati di Anna, la cui protezione è particolarmente invocata dalle partorienti e dalle donne desiderose di maternità. La onorano le madri di famiglia: ricamatrici e lavandaie si astenevano, nel giorno della sua festa, dal loro lavoro (che Anna stessa aveva, secondo la leggenda, esercitato), ritenendo che non avrebbe avuto successo. Meno chiaro il motivo per cui la madre di Maria fu scelta a protettrice di numerose categorie di lavoratori come gli orefici, i falegnami, gli ebanisti e i minatori. Anche i palafrenieri pontifici, che nel giorno della sua festa facevano una solenne processione, la elessero a loro patrona e in suo onore, nel 1505, costruirono una chiesa (Sant'Anna dei Palafrenieri) alle porte del palazzo Vaticano. Anna, inoltre, era invocata per ottenere una buona morte, perché, secondo la tradizione la sua sarebbe stata addolcita dalla presenza del Bambino Gesù, che le risparmiò gli spasimi dell'agonia .

 Nell'Europa settentrionale, dove il culto di Anna, raggiunse, nei secoli XIV e XV, la massima diffusione, fu molto usata, l'acqua di Sant'Anna, per curare le febbri e gli ossessi. A lei era consacrato il martedì, giorno per cui, secondo la tradizione, sarebbe nata e morta.

I cegliesi hanno sempre avuto ed hanno tuttora una particolare devozione per la Santa. Ogni anno, fin dal 1590, per quanto di nostra conoscenza, infatti, si festeggia la ricorrenza con devozione e solennità. E per solennizzare la festività il 26 luglio 1690 quarantuno persone tra soldati e civili sottoscrivono un atto con il quale per ampliare la festa di Santa Anna hanno convenuto che ogni anno uno di loro deve sparare personalmente in detta festa e pagare ciascheduno ogni anno carlini cinque per comprare polvere in detta festa. I contravventori oltre ai carli cinque pagheranno carlini dieci da spenderli per detta festa .  Sparare voleva significare che il giorno della ricorrenza venivano lanciati alcuni mortaretti, ossia sparati alcuni colpi di mortaio, attualmente nel gergo paesano meglio conosciuti come colpi scuri.  Questi venivano e tuttora vengono lanciati intorno alle sette del mattino a mezzogiorno e alla sera prima dell'inizio della cerimonia religiosa, in seguito (dopo l'unificazione d'Italia), alla partenza della processione dalla chiesa in cui veniva custodita la statua del Santo per attraversare le principali vie cittadine.Ciò significa che già, a quell'epoca, la festa di Mamma Sand'Ann' era considerata di antica data e tradizione.

La cosa più strana è che fin da quei lontani tempi era un Comitato promotore composto da personaggi di diverso ceto sociale (soldati, civili, lavorari, zappatori, foretani di campagna), i quali si riunivano il 29 del mese di giugno dentro la venerabile congregazione di San Demetrio di Ceglie al tocco della campana per l’elezione degli Ufficiali di detta festa.

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  CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA - SAN DOMENICO CON ANNESSO CONVENTO

di Pasquale Elia

La facciata quasi rinascimentale di questa chiesa fa assai contrasto con l’interno di uno spiccato barocco tipo leccese. Gli altari laterali (sei) con colonnine tortili, festoni e fregi scolpiti, sono letteralmente zeppi di statuette di Santi e Beati domenicani come in quasi nessun’altra chiesa domenicana pugliese, se ne contano oltre una ventina; colorate e dorate forse in epoca posteriore.  La Cappella del Rosario ancora più carica delle altre porta una iscrizione del 1735. In sacrestia  il sacello di una nobildonna: Isabella Noirot (1641).

Il chiostro è completo, i pilastri esagonali poggiano su un muro che recinge tutta la parte centrale lastricata in pietra locale, come in altri conventi pugliesi: al centro il tradizionale pozzo.

Il convento  per suore con annessa Cappella, secondo alcuni, intitolata a San Giovanni Battista, fu fondato, il 25 dicembre 1534,da AURELIA SANSEVERINO (+28.12.1562) e “il padre don Giovanni”, secondo altri, invece, nel 1570, e fu dedicata a San Giovanni Evangelista dell'Ospitale e durò fino alla soppressione.

            Ecco come viene riportato in un  documento storico: “Questo Venerabile Monastero sotto il titolo di San Giovanni Evangelista dell’Ordine dei Predicatori di questa Terra di Ceglie, nella Provincia d’Otranto, fu fondato dall’Illustrissima Signora Aurelia Sanseverino, utile signora e padrona antica di questa terra la quale sin dal 1534 con suo padre, don Giovanni Sanseverino, chiamò la nostra religione in questa terra, e ne fecero istanza in Roma.  Si cominciò e fabricò il convento nel luogo ove oggi si dice il convento vecchio, e propriamente dove è presente lo spedale.”  “Si era cominciata una fabrica del convento di donne Monache, ove al presente è quel convento, e qui proseguivano a fabricare e ci fecero il nuovo convento, come oggi è e lo trovarono li Padri ad abitarlo nel 1682”.   “Il convento, dapprima, era un Vicariato, cioè non più di sei frati con un Vicario, nel capitolo generale del 1686, invece, fu eretto in Priorato, cioè, un numero illimitato di frati con Priore”.

 E' da ritenere pertanto verosimile che il complesso fu edificato tra il 1534 e il 1558, prima della morte di Aurelia, avvenuta nel 1562 e, comunque, anche prima della morte di Carlo V, Imperatore del S.R.I. (I come re di Spagna, II d'Ungheria, IV di Napoli), avvenuta nel 1558, per il semplice fatto che alcuni arredi dell'odierna chiesa (pulpito basso e coro ligneo), sono di epoca diversa, e provengono, di certo, dalla vecchia Cappella, i quali riportano, in altorilievo, l'aquila bicipite, stemma araldico austro - spagnuolo. A titolo di informazione, la famiglia Sanseverino era molto legata a quel Sovrano. Se tenessimo per vera, invece, la costruzione nel 1570, si tratterebbe di un'altra AURELIA, figlia di Ferdinando e Violante Sanseverino, che sposò Gaspare Toraldo, barone di Badolato ed era sorella di Giovanni Giacomo Sanseverino, IV conte di Saponara e barone di Ceglie. 

La chiesa fu dedicata a San Domenico dai frati domenicani, nel 1688, perché Santo fondatore del loro Ordine. Nella Chiesa odierna, classico gioiello barocco in Puglia, è custodita la statua lignea di San Domenico da Guzman, da cui la stessa prende il nome e tanti altri santi e beati.

Dell'Ospitale sotto il titolo di San Giovanni Evangelista dobbiamo intendere che quella Cappella apparteneva al nosocomio cittadino, si trovava cioè dentro le pareti dello stesso ospedale.  La Casa di cura deve essere rimasta nell'edificio fino a quando i malati non furono trasferiti nel cosiddetto ospedale vecchio e quella parte del monastero fu trasformata in Caserma per la Gendarmeria prima e per i “Regi Carabinieri a piedi” dopo.  Successivamente  una parte del complesso fu occupato dagli uffici della Pretura e del Giudice di pace. Sino al 2005 la struttura del Convento è stata la sede del Municipio del Comune di Ceglie.

Altro su Chiesa e Convento di San Domenico

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CHIESA DI SAN GIOACCHINO

di Pasquale Elia 

L'edificio ha una pianta ottagonale lungo il cui perimetro si elevano le murature portanti atte a sostenere il tamburo e la volta emisferica. Il pavimento è costituito da quadrati di graniglia di cemento.

Si dice che la chiesa fu realizzata in segno di devota riconoscenza nei confronti di San Gioacchino che aveva preservato la città dall'epidemia di colera. Non abbiamo alcuna conferma di quanto sopra, anche in considerazione del fatto che, in quel tempo, i Santi protettori di Ceglie contro le epidemie, in genere, erano Sant'Antonio Abate e San Rocco. A quanto sono riuscito a rinvenire invece alcune famiglie agiate del luogo volevano una chiesa nel rione (Moriggini), allora in fase di forte espansione demografica.

Il Parroco don Domenico Gatti, Arciprete della Chiesa Madre di Ceglie, nel 1871 (a quel tempo le parrocchie erano solo due: Chiesa Madre e San Rocco), invitò il Vescovo di Oria, S.E. Mons. Luigi Margarita per la benedizione della prima pietra per la costruzione di una nuova chiesa, intitolata a San Gioacchino, da costruire con somme raccolte con offerte volontarie tra la popolazione cegliese. Il vescovo fece sapere che mancando il consenso governativo non poteva aderire alla richiesta. Il Parroco e i cittadini che lo affiancavano non si persero d'animo ed inoltrarono istanza per ottenere l'autorizzazione governativa necessaria.

Sotto la data del 1 giugno 1871, Sua Maestà il Re concesse il Beneplacito Sovrano per la costruzione della nuova chiesa nel Comune di Ceglie Messapico; di seguito quanto riportato nella lettera del "Ministro di Grazia e Giustizia e de' Culti" indirizzata al Prefetto della provincia di Lecce (Ceglie a quei tempi era in provincia di Lecce non essendo ancora state istituite   le  province salentine di Brindisi e Taranto). 

""S.M. sulla proposta del Guardasigilli, si è degnata, nell'udienza del 1° presente mese di concedere il Suo Sovrano Beneplacito per l'erezione di una nuova Chiesa che sotto il titolo di San Gioacchino  si intende edificare nel Comune di Ceglie Messapico, colle somme raccolte mediante offerte volontarie.

            Si pregia il sottoscritto di partecipare questa Sovrana determinazione alla S.V. Ill.ma, in risposta alla nota del 17 del decorso mese n° 1212 per l'opportuna intelligenza, ad uso occorrente da sua parte.""

 

A costruire l'edificio furono in pratica i fratelli Salvatore e Cosimo Cavallo e anche grazie al contributo volontario di numerosi cittadini. La Chiesa fu aperta al pubblico nel 1877.

 

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CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA

di Pasquale Elia              

            Alcuni studiosi locali la danno per costruita nel XIV secolo. E’ una chiesa che per la sua architettura, in stile gotico, si accomuna all’Abbazia di Sant’Anna e alla Chiesa rurale della Madonna della Grotta.  Per il motivo di cui sopra devo ritenere che fu edificata più o meno nella stessa epoca di queste ultime (intorno al IX secolo). Se fosse di epoca successiva, come si vorrebbe far credere, lo stile sarebbe, di sicuro, completamente diverso.

            Essa è situata nel centro storico del Borgo medioevale,a qualche decina di metri dalla cosiddetta Piazza Vecchia.

           L’edificio, di piccole dimensioni, è abbarbicato ad alcune civili abitazioni e, se non fosse per la vela ad un fornice del suo piccolo campanile, sarebbe difficile individuarla fra le altre costruzioni.

            Nel ‘700 subì dei rimaneggiamenti al portalino ed all’unico altare esistente.  Nelle nicchie che sovrastano l’altare è custodito il gruppo ligneo policromato della Vergine e dell’Arcangelo ed una statua in cartapesta che riproduce il patriarca San Giuseppe.

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CHIESA DI SANT'ANTONIO ABATE

di Pasquale Elia  

Rocco Antelmy (1834–1917), primo studioso della storia cittadina affermava che l’antica Cappella di Sant’Antonio Abate potrebbe risalire addirittura all’epoca di Costantino (editto di Milano, 313 d.C.), per avere incise su di una architrave, all’ingresso, le lettere I. H. S. V. (In Hoc Signo Vinces)

La Cappella in argomento, molto semplice nel suo stile, è molto antica e risale sicuramente all’alto medioevo (fine secolo X), era dedicata a Sant’Antonio Abate, il quale, alcuni secoli fa, a Ceglie era conosciuto come Sant’Antonio di Vienna.

            Negli atti notarili custoditi presso l’Archivio di Stato di Brindisi e negli studi di diversi Autori, infatti, ci viene tramandato come il Santo di Vienna. Il motivo era dovuto al fatto che quando il corpo del Santo fu trasferito da Costantinopoli in Europa fu portato nella città di Sant’Antoine de Viennois. La pronunzia francese della città di Viennois, nell’arco degli anni, a mio avviso, ha tratto in inganno i primi studiosi, tanto che nella traduzione francese-italiano-dialetto diventò Vienna, nulla a che vedere però con la capitale austriaca. Nel nostro irsuto dialetto Sant’Antonio Abate è ancora oggi ricordato con la pronunzia francesizzata “Sand’Anduèn”.  Il Santo era tanto radicato nelle nostre tradizioni paesane che intorno a Costui sono nati anche alcuni proverbi [Da Sand’Anduèn’ masckr’ j-ssuen’ - da Sant’Antonio Abate maschere e suoni, significando che hanno inizio i festeggiamenti di Carnevale. Infatti, proprio il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gen.) inizia il periodo carnevalesco . 

Egli fu venerato dal popolo, il quale faceva ricorso a lui contro la peste, lo scorbuto e contro tutti i morbi contagiosi. E tutti abbiamo sentito parlare o letto, almeno una volta, quali e quante malattie contagiose hanno dovuto combattere i nostri antenati nel corso dei secoli passati. Per quanto sopra la popolazione cegliese ricorreva a Sant’Antonio Abate contro le pestilenze qualche secolo prima che fiorisse il culto per San Rocco.

Lo sviluppo del culto popolare per Sant’Antonio Abate fu dovuto alla sua fama di guaritore dell’Herpes Zoster, malattia contagiosa, ancora oggi molto diffusa, meglio conosciuta come fuoco di Sant’Antonio. Sant’Antonio Abate, tra l’altro, è il protettore degli animali domestici.

Nella Chiesa di Sant’Antonio Abate, così come nelle altre , nei primi anni, si celebrava l’Eucaristia con il Rito greco, dovuto al fatto che la cultura bizantina era ancora molto radicata nella tradizione locale. A riprova di quanto sopra nella citata chiesetta esiste un meraviglioso affresco raffigurante Santa Filomena, la quale, è raffigurata con abiti di stile orientaleggianti (greco o bizantini).

 Nei primi decenni del secolo XI, avventurieri normanni si erano spostati in cerca di fortuna verso l’Italia meridionale, dove arabi e bizantini erano in perenne conflitto.

Nelle aree dove i normanni riuscirono a stabilirsi crearono forti organismi politici che lasciarono tracce durature sull’assetto politico e territoriale. I risultati più importanti e duraturi li ottennero i membri della famiglia reale degli Altavilla.  Uno di questi di nome, Accardo, nel 1110, era signore e padrone di Ostuni, “….liciensis et hostunensis dominator….., liciensis dominus….. Padrone e signore del “….castillo Cilij…..”, invece, era un certo Pagano.  Al contempo le varie tribù vichinghe iniziarono ad abbracciare il cristianesimo.

La latinizzazione dell’Italia meridionale avviata dunque dai Normanni sotto il pontificato di Gregorio VII (1073-1085) ridusse progressivamente la presenza del clero greco.

L’ultimo Cappellano dell’antico Tempio di Santo Antonio Abate, in Ceglie Messapica fu il Rev. don Massimino Gioia (1942), il quale, nel 1904, l’aveva ristrutturato a sue cure e spese.

Ecco l’iscrizione in lingua latina riportata per l’occasione su lapide:

“HANC AEDEM S. ANTONII ABATIS IAM PRIDEM IN PRECARIUM USUM CONVERSAM SAC. MAXIMINUS GIOIA RECUPERAVIT RESTITUIT IN INTEGRO ATQUE EXORNAVIT   A.D. MCMIV”.   “Questo Tempio di Sant’Antonio Abate già da molto tempo volto a un uso precario il sacerdote Massimino Gioia riportò alle condizioni di prima, restaurò completamente e abbellì nell’anno del Signore 1904” 

La Cappella, una volta abbandonata, passò a privati che nella seconda metà dello scorso secolo fu trasformata in un elegante e rinomato complesso di ristorazione.

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          I FRATI CAPPUCCINI A CEGLIE          

di Pasquale Elia 

Il massimo sconvolgimento che ricorda la storia fu la rivoluzione francese. In Italia il movimento rivoluzionario cominciò ben presto. Nel meridione ebbe pieno potere con il decreto n.448 del 7 agosto 1809 a firma di Gioacchino Murat, creato Re di Napoli da Napoleone nel 1808. Il citato decreto prevedeva e prescriveva, all’art. 15 la soppressione degli “Ordini Religiosi” con il “ pretesto che essi avessero armai fatto il loro tempo”. Dei conventi pugliesi dei Cappuccini furono soppressi quelli di Altamura, Gravina, Barletta, Bari, Bisceglie, Monopoli e Rutigliano. Da aggiungere Andria, Acquaviva, Conversano, Lavello, Montepeloso, Venosa, Ruvo e Spinazzola  Casarano, Galatina, Tricase, Diso, Otranto, Galatone, Nardò, Gallipoli, Francavilla, Ostuni, Taranto, Martina, Massafra, Ginosa e Lecce.  Di quest’ultimo elenco fa parte il convento dei Cappuccini di Ceglie,  mentre per il convento dei padri domenicani non abbiamo alcuna fonte certa della data di sgombero. I religiosi dei conventi soppressi furono aggregati in altri più vicini, non colpiti o tollerati in conventi abbandonati d'altri istituti.

La soppressione doveva essere eseguita sotto gli ordini e la vigilanza degli Intendenti; i religiosi avrebbero dovuto abbandonare le proprie case (conventi) entro il 15 ottobre di quell’anno; avrebbero potuto portare al seguito solo gli effetti di loro proprietà o uso personale e deporre invece l’abito dell’Ordine; ai religiosi consacrati sarebbe stato concessa una pensione di ducati 96 annui e ai laici di 48 ducati. Così cessavano di vivere i monaci benedettini ed affini. Difatti il disegno rivoluzionario del 1807, veniva ripreso una cinquantina di anni dopo, allorché il Regno di Sardegna prima, con legge 29.05.1855, e il Regno d’Italia poi, adottarono una serie di provvedimenti eversivi dell’assetto istituzionale e patrimoniale delle chiese locali. Il colpo di grazia verrà inferto con il decreto luogotenenziale del 17.02.1861 con cui Eugenio di Savoia sanciva la soppressione  “….quali enti morali riconosciuti dalla legge civile di tutte le Case degli Ordini Monastici di ambo i sessi esistenti nelle Provincie Napolitane, non escluse le Congregazioni Regolari, ad eccezione di quelle che saranno designate con Nostro successivo Decreto come benemerite per riconosciuti servigi che rendono alle popolazioni nella sana educazione della gioventù, nell’assistenza degli infermi ed in altre opere di pubblica utilità…….”. Disponeva, inoltre, che l’incameramento e la gestione dei beni posseduti dalle Case Religiose soppresse, passasse alla Cassa Ecclesiastica dello Stato. Questa era stata istituita dal Regno di Sardegna con Legge 29.05.1855, per amministrare con autonomia i beni degli Enti ecclesiastici soppressi, beni che lo Stato, in un primo tempo volle che fossero mantenuti e destinati a fini ecclesiastici e di pubblica utilità.  Con i vari decreti luogotenenziali e commissariali che negli anni 1860-1861 soppressero le corporazioni religiose nelle provincie napoletane, i corrispondenti patrimoni furono ceduti alla citata Cassa ecclesiastica dello Stato. I conventi furono occupati dai Comuni, Provincie, Caserme, Scuole, Ospedali, ricoveri di mendicità, Tribunali, Preture, ecc. (ecco il motivo per cui a Ceglie il Municipio si trovava nell’ex convento dei domenicani e fino a qualche decina di anni fa anche la Pretura e la Caserma dei Carabinieri, mentre l’Ospedale cittadino fu trasferito dall’odierno ospedale vecchio nell’ex convento dei Cappuccini. 

E’ indescrivibile il danno cagionato ai conventi durante tale soppressione. Furono profanate le Chiese, inventariati o consegnati gli oggetti sacri a coloro che l’autorità civile indicava, molti di questi oggetti, poi, di materiale prezioso, in oro o in argento, lavorati a mano quindi di grande valore (ostensori, calici, pisside, quadri di autori, ecc.) non furono più visti.  Le truppe viziose o senza patria deturparono tutto, bruciarono le biblioteche, che tanti sudori erano costate e misero sottosopra ogni cosa che incontravano sulla loro strada. Quando le acque incominciarono a calmarsi, i comuni e i vescovi si rivolsero all’autorità dello Stato, per avere il permesso di riaprire i conventi.

La rivoluzione francese aveva lasciato l’idea dell’unità e dell’indipendenza italiana. Non sto qui  fare un trattato di storia italiana, da Cavour a Manin a Mazzini a Garibaldi fino all’unità nazionale sotto la Casa Savoia proclamata il 6 febbraio 1861. Ho solo voluto ricercare la storia degli Ordini Religiosi dislocati nella nostra Ceglie.

 

CHIESA SANTA MARIA DEGLI ANGELI CON ANNESSO CONVENTO DEI CAPPUCCINI

 

di Pasquale Elia

I Cappuccini hanno origine da frate Matteo da Bascio degli Osservanti della Marca d'Ancona. Egli ottenne, nel 1525, da Papa Clemente VII il permesso di indossare, ad imitazione di San Francesco, un grezzo saio con lungo cappuccio piramidale, di osservare alla lettera e senza dispense o privilegi la regola francescana, di vivere in rigida povertà, di esercitare il ministero di predicatore della penitenza. Lo stesso Papa con Bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528, promulgò l'atto di erezione canonica della nuova Congregazione che si chiamò dei F(rati) M(inori) della vita eremitica.  Il nome popolare dei Cappuccini derivò dalla forma del cappuccio. Essi si caratterizzarono per una strettissima povertà e per uno spirito di contemplazione e di preghiera diurna e notturna. I Religiosi si sostenevano con la mendicità quotidiana, vestivano rozzamente, a capo scoperto e a piedi scalzi, portavano la barba. L'eroismo della loro carità nella cura degli ammalati e degli appestati riportò nella società l'austerità delle origini francescane. Il popolo li circondò di venerazione.

Il Comune, allora Universitas, di Ceglie, intorno al 1540, si rivolse a Padre Tullio da Potenza, invitandolo a promuovere l'autorizzazione a costruire, nella nostra città, un convento per i frati Cappuccini. A quel tempo, purtroppo, non fu possibile aderire alla richiesta e forse non sarebbe stato mai possibile se tutta la popolazione cegliese non avesse continuato a rinnovare quella richiesta, frequentemente, fino a quando fu accettata. Il suolo per l'edificazione del convento fu acquistato dal Comune. Alcuni studiosi di storia locale, invece, danno il merito alla famiglia Sanseverino. Per quanto di mia conoscenza quanto sopra non risponde al vero. Fu così che, “…. finalmente, nel 1566, il Comune, a proprie spese, fondò il convento tanto sospirato con venti  cellette alle quali se ne aggiunsero altre in seguito” .

Passarono gli anni e solo nel 1589 l'Amministrazione comunale poté disporre di un terreno adiacente per costruire anche la Chiesa.  L'Università, infatti, e per essa il Sindaco e gli Eletti il 27 agosto 1589 sottoscrissero un atto di permuta con il Rev. Antonio D'Urso, Abbate della Chiesa di Sant'Anna, il quale proprio in quel luogo aveva alcune case con giardino, per la costruzione del nuovo monastero dei PP. Cappuccini .

 Nel 1647, ultimata la Chiesa, si celebrò, nel convento il Capitolo Prov.le di quell'Ordine francescano. Vi parteciparono più di cento frati provenienti dai Monasteri del circondario.

Due agiati proprietari e benefattori di Ceglie, Apollonia Oliva e Gian Giacomo Albanese, vollero contribuire al sostentamento dei Padri partecipanti offrendo la prima, 40 rotoli (1 rotolo = gr.891) di miele, il secondo, una botte del suo migliore  vino.  Secondo quanto scrivono gli stessi monaci in quell'occasione si verificarono due fatti straordinari: “…la crescita miracolosa del miele e del vino di due devoti benefattori cegliesi…”.  Il cronista cappuccino riporta testualmente che, “nonostante il consumo quotidiano del miele e del vino, quest'ultimo addirittura distribuito in gran parte a tutti i poveri di Ceglie e una grande quantità fosse stata donata al Principe di Francavilla, i recipienti risultavano sempre pieni, insomma non si svuotavano mai “. Questo il motivo per cui i monaci parlano di “crescita miracolosa”.

         La Chiesa, munita di un campanile a vela con due campane di piccole dimensioni, fu dedicata a Santa Maria della Consolazione, per l'Ufficio del Registro di Ceglie era intitolata, invece, a Santa Maria degli Angioli.  Sotto il pavimento della navata centrale era luogo di sepoltura oltre che per i frati del convento anche per altri ecclesiastici. Dopo la soppressione degli Ordini Religiosi del 1861 (fu sequestrato dalle Autorità il 6.2.1862 e sgomberato il 31dicembre 1866).

Nella chiesa sempre aperta al culto, una fiorente e numerosa congregazione di terziari, tra l'altro, molto antica ha tenuto vivo l'amore a San Francesco e ai Cappuccini. In lo convento de' Cappuccini  - è riportato nel Catasto antico - un ortale di tre stoppelli (equivalente all'ottava parte del tomolo e a sette litri circa), con venticinque arbori di olive, tra piccioli e grandi che comprò dal quondam (col significato di defunto), Donato Rosso, sono circa anni 28 si stima ogni cosa ducati quarantadui (ortale ubicato dove oggi sorgono le case popolari e il vecchio macello comunale, oggi Piazza della Repubblica). Il vecchio macello comunale era l'ovile dei frati Cappuccini e, una volta, in quell'ovile si svolgeva anche la fiera zootecnica del Crocifisso e dell'Assunta. In la Fresa tre chiusarelle detta terre con arbori otto di olive piccioli e grandi le comprò da Francesco Nisi sono 28 anni, se sono retrovate per tumula quattro se stima per ducati cinquanta con l'olive.

 Il 6 febbraio 1862 furono sequestrate piccole quantità di derrate alimentari (grano, avena, olio, fave, formaggio), e lasciati in custodia ai frati tra l'altro "due campane di cui una rotta, una corona con diadema sulla testa dell'Immacolata della valuta approssimativa di L.40.00 ed un'altra in testa di un bambinetto L.12.00".  All'atto dello sgombero avvenuto il 31 dicembre 1866, le due campane risultarono entrambi rotte, mentre le corone della statua della Madonna Immacolata e del Bambinello non furono mai trovate. E’ da pensare che i frati le avessero trafugate e portate altrove. Io mi sarei comportato nello stesso modo e forse anche peggio. I Padri furono autorizzati a portare via solo gli oggetti personali, giusta i Regolamenti, riporta il verbale. Quella struttura incamerata dall’amministrazione comunale come tutte le altre degli Ordini Religiosi cegliesi, fu trasformata dapprima in ricovero di mendicità ed in seguito, nel 1867, a causa dell’epidemia di colera fu trasferito il locale ospedale. Facendo dei piccoli calcoli in quel complesso il nostro ospedale cittadino è rimasto per circa un secolo.

 Il 6 gennaio 1965 la chiesa dei Padri Cappuccini fu sede provvisoria della Parrocchia Maria Immacolata, Madre della Divina Provvidenza dell'Opera don Guanella. Quello stesso anno 1965, la Chiesa, a causa della mancata manutenzione e delle infiltrazioni di acqua, con ordinanza del Sindaco fu dichiarata pericolante (?) ed inagibile e quindi chiusa al pubblico per motivi di sicurezza. Per il motivo di cui sopra fu abbattuta ed al suo posto fu costruito un nuovo padiglione dell'Ospedale cittadino. Era per davvero pericolante? Personalmente nutro moltissimi dubbi. L'abbattimento del convento e dell'annessa Chiesa deve essere considerata una grossa perdita della secolare storia della comunità religiosa cegliese e non solo cegliese. A mio avviso non era necessario abbattere quel complesso, esso avrebbe potuto armonicamente convivere con l'odierno locale nosocomio.

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CHIESA DELLA MADONNA DELLA GROTTA

di Pasquale Elia 

Antichissima chiesa gotica situata sulla vecchia strada che da Ceglie conduce a Francavilla Fontana. E' una delle più importanti opere romaniche ancora esistenti in Puglia. E' una chiesa rurale di un certo rilievo nel territorio comunale, ma in completo stato di abbandono.

La chiesa della Madonna della Grotta (contemporanea a quella di Sant'Anna) è da datare intorno al IX secolo, fu ristrutturata nel '300 dall'architetto Domenico de Juliano. Nel corso dei secoli però ha subito vari rimaneggiamenti.

La facciata termina con un campanile a vela molto simile alla chiesa della Santissima Annunziata situata nel Borgo medioevale della città. Sui muri, scampoli di affreschi raffiguranti due santi monaci, sopravvissuti ai secoli ed all'uomo, di epoca piuttosto tarda. Molto rovinato appare l'affresco di una Madonna col Bambino. Le pareti della chiesa sono alte e snelle, interrotte dal vecchio portale e dall'ampio rosone, del quale rimane la ghiera esterna e nessun elemento della raggiera.

Davanti alla chiesa della Madonna della Grotta , da tempi immemorabili, per antico privilegio, si svolgeva una fiera.

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COLLEGIO DEI PADRI SCOLOPI (SCUOLE PIE) con annessa Cappella di San Sebastiano

di Pasquale Elia

            Presso l’omonima masseria (oggi conosciuta come Scuole Pie) fiorì, nel XVI secolo, un Collegio dei Padri Scolopi con numerosi studenti.  Le meglio conosciute Suole Pie, come allora si identificavano, erano le scuole elementari dirette da ecclesiastici. 

Rileviamo che la Chiesa era dedicata a San Sebastiano. Di questa Chiesa intitolata al Santo Martire, nel Seminario Vescovile di Oria, viene conservata una mappa catastale, datata 1726. Possiamo pensare che essendoci un altare maggiore è da ipotizzare anche l’esistenza di altari laterali. La chiesa perciò non doveva essere proprio tanto piccola. Il Collegio fu soppresso come tutti gli altri Ordini Religiosi a seguito delle leggi eversive del 1806.

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Approfondimenti e argomenti sulle Chiese di Ceglie

di Pasquale Elia

PLATEA S. DOMENICO  

Prima di esaminare il contenuto di quel grosso Registro, è sicuramente necessario spiegare, cosa è in realtà quell’attestato.

            Trattasi di uno smisurato Libro in cui sono riportati, le proprietà del convento quali, case, campagne, orti, frantoio oleario, masserie, uliveti, vigneti, animali di grosse e piccole taglie, decisioni dei feudatari, suppliche al Re, delibere comunali, avvenimenti, circostanze e fatti verificatisi nella nostra città e riportati a futura memoria. E’, in buona sostanza, una specie di grosso moderno nostro diario.

                Il titolo della testimonianza in questione è:

“Platea seu campione di tutti li beni stabbili di campagna annui canoni sopra le case, e case proprie posside il venerabile convento di S. Domenico della Terra di Ceglie sotto il titolo di S. Gio. Evangelista, fatta in tempo che fu Generale il R.do P.M. F. Tomaso Ripolli, e del Provincialato P.M.F. Domenico Scura, e del Priorato del P.L.F. Nicola M° Casalini, giudice delegato Not. Tomaso Lamarina di Ceglie, costrutta, misurata e poste in pianta da Pietro di Suma di Francavilla - A.D. MDCCXXXIV – 1744”.

            Dall’intestazione di cui sopra apprendiamo così che la Chiesa è dedicata a San Giovanni Evangelista. Lo stemma araldico riprodotto sull’architrave della porticina di via Giuseppe Elia, già via Municipio, è proprio di quel Santo. Da non confondere con quello di San Giovanni Battista in cui l’agnello è con la testa rivolta a sinistra, mentre questo è con la testa dell’agnello rivolta a destra.

            Quell’enorme volume è custodito presso l'Archivio di Stato di Brindisi e per quanto attiene al suo contenuto sarebbe da supporre che dovesse riportare avvenimenti successivi a quella data del 1744, invece, non è così.

Nelle prime pagine (p.2), infatti, è annotato che il Convento fu fondato “…. dall'Ill.ma signora Aurelia Sanseverino ………la quale sin dal 1534, con suo padre don Giovanni Sanseverino chiamò la nostra religione in questa Terra…..”

Il convento (vecchia Casa Comunale) per suore con annessa Cappella, secondo alcuni, intitolata a San Giovanni Battista, fu fondato il 25 dicembre 1534 (AGOP, IV, 24, fol. 143v; G. Cappelluti, L’Ordine Domenicano in Puglia, Saggio Storico, Teramo 1965, p.27; Memorie domenicane, Gli Ordini religiosi mendicanti. Tradizione e dissenso, a. 1991, n°22, pp.27-28), da Aurelia Sanseverino con suo padre don Giovanni (ASBr. Platea. cit. p.3/v), secondo altri, invece, nel 1570, e fu dedicato a San Giovanni Evangelista (Archivio Basilica di San Nicola di Bari, I Conventi domenicani del Sud nelle risposte del 1736; AGOP, Liber A, Liber F, ff.556-577; Notam.ti delli Conv.ti Padri et frati della Prov.a di S. Tho.o delli Pred. Capitolo Vicariati, p.41).

E’ da ritenere verosimile che il complesso fu edificato tra il 1534 e il 1558, prima della morte di Aurelia, avvenuta, nel 1562 e, comunque, anche prima della morte di Carlo V, Imperatore del S.R.I., avvenuta, nel 1558 e fu intitolato proprio a San Giovanni Evangelista.

Per meglio seguire gli avvenimenti, sarà importante, per il momento, tenere sempre presente questa data: 1534.

E' chiaro pensare, quindi, che quando il frate domenicano scriveva “……chiamò la nostra religione in questa Terra…… “ dobbiamo intendere, e non ci possono essere dubbi di sorta, che quell'Ordine deve essere arrivato nella nostra città fin da quel lontano 1534.

Il nome del padre di Aurelia non era Giovanni – come riportano i frati domenicani - in realtà, il suo nome, era Tommaso, il quale ci viene dato per morto, assieme alla moglie Isabella, figlia di Giacomo di Acaja, fin dal 1510 (ASNa. Archivio Sanseverino di Bisignano, marchese Livio Serra di Gerace, vol. III, p.1214; J. Donsì Gentile, Archivio Sanseverino di Bisignano, in Archivi di Stato di Napoli, Archivi privati, Inventario sommario, vol. I, Roma 1967, p.18; L. A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d’Otranto. Le province di Brindisi e Taranto, Novoli 1996, vol. II, p.16-18; Pasquale ELIA, Ceglie Messapica, La Storia, Manduria 2000, p.47; Davide Shamà, genealogista, I Sanseverino, Internet).

In quell’anno 1534, pertanto, non poteva, l’Ordine dei Predicatori, essere invitato (….chiamò….)  “in questa Terra”, ossia a Ceglie.

Il marchese Livio Serra di Gerace, genealogista contemporaneo della famiglia, nel suo manoscritto (custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli) indica, “….Aurelia, figlia del quondam Tommaso e della quondam Isabella dell’Acaja….”.

Quel vocabolo “quondam” veniva usato in passato davanti al nome di defunti proprio con lo stesso significato dell’odierno nostro “fu”.

Non può essere il genitore della nostra Aurelia, perché sappiamo che, all’epoca, costui era già morto. Saremmo costretti ad intendere invece il marito di costei, infatti, Giovanni era il suo nome, ma anche questa ipotesi purtroppo è indubbiamente errata perché il Giovanni Sanseverino, marito, ci risulta trapassato ancora prima del 1530.

            Il 19 gennaio 1530 a Napoli, fu reso esecutivo un decreto del Consiglio del Collaterale nella causa tra la moglie di Giovanni Sanseverino (Aurelia), da una parte, il Regio Fisco e Luigi Icart, castellano di Castelnuovo di Napoli, possessore della Terra di Viggianello, dall’altra (J.Donsì Gentile, cit. p.54; L.A. Montefusco, cit. vol. II, p.46).

 Il 26 marzo 1530, Aurelia, infatti, entrò in possesso del castello di Viggianello (PZ), proprio in esecuzione della sentenza del Consiglio del Collaterale, “….per quanto a lei dovuto per dote e diritti dotali dal marito Giovanni Sanseverino…..” (J. Donsì Gentile, cit. p. 21; Pasquale Elia, cit. p.49). 

Quest’ultima frase ci dimostra che la baronessa di Ceglie, Aurelia, nel 1530, era già vedova del 1° marito, Giovanni Sanseverino.

Abbiamo certificato che per quanto attiene al ….padre don Giovanni Sanseverino ……..non risponde a verità (attestato), e altrettanto dicasi per il marito don Giovanni.

  Aurelia, già vedova, contrasse un secondo matrimonio con Giovanni Francesco Conclubeth di Bagnara, marchese di Arena e Stilo. E’ da notare che anche il 2° marito aveva il nome Giovanni (J. Donsì Gentile, cit. vol. IV, p.24; P. Elia, cit. p.51).

Giovanni Conclubeth era il suocero della figlia Isabella, la quale il 23 settembre 1535, aveva sposato Pietrantonio Conclubeth (J. Donsì Gentile, cit. vol. XIV, p.23).

Il cronista domenicano scriveva ancora  “……Aurelia alla morte del marito (quale?) donò due Cappelle, una della Natività della Madonna e l’altra di San Giovanni Evangelista dello Spedale – atto del Notaro apostolico Lorenzo Provarola della città di Ostuni – La donazione fu confermata dall’Arcivescovo di Brindisi e Oria Giovanni Alessander. A.D. 2 marzo 1544 (ASBr., Platea …cit., p.3).

Il vescovo in questione non è mai esistito. Sotto quella data il Pastore di quella diocesi (Brindisi-Oria) era S.E. Monsignore Francesco ALEANDRO (1542 - 3 nov. 1560), nato a Motta di Livenza (Cronotassi, Iconografia e Araldica dell’Episcopato Pugliese, Editrice Regione Puglia, Bari 1984, p. 139). E non c’è stato né prima, né dopo alcun altro presule con quel nome.

Abbiamo accertato dunque che nel marzo del 1530, il 1° marito di Aurelia - Giovanni Sanseverino - era già morto, e nel mese di giugno del 1546 ci risulta deceduto anche il suo secondo marito - Giovanni Conclubeth – (J.Donsì Gentile, cit. vol. XIV, p.24).

A chi il merito di quel complesso indispensabile alla nostra comunità da duecento anni circa? (vecchia Casa comunale). Chi era dunque il famoso don Giovanni citato nel grosso volume? E se fosse stato proprio il secondo marito, il quale essendo molto più anziano di lei (35 anni) potrebbe essere stato scambiato come padre? E’ un’ipotesi.

Fare attenzione adesso alla data 1682.

Sempre nel taccuino in argomento l’amanuense domenicano scriveva che essi (frati) ”……misero piede a Ceglie nel 1682 e la chiesa di San Domenico…….…fu aperta ai fedeli……….nel 1688…...”(ASBr. Platea…p. 3/v). 

            L’Universitas (Comune) di Ceglie nella persona dell’allora Sindaco Giovanni Cognano e degli Eletti (odierni Assessori), Annibale Gioia, Giovanni Battista Monaco e Natale Santoro, nel lontano 1597, ossia ottantacinque anni prima di quel 1682, stipularono un contratto con la Ditta Fratelli Cataldo e Alfonso D'Errico di Gallipoli, “….. per la costruzione di una campana intitolata alla Madonna Santissima del Rosario per il convento dei PP. domenicani di Ceglie…. ” (ASBr., Notaio Stefano Matera, il 1 maggio 1597, C.18). Altro contratto dello stesso tenore fu stipulato il 10 maggio 1597 “…… per fare una campana al convento di Santo Giovanni dell'Ordine dei Domenicani di detta Terra di Ceglie intitolata detta campana del Rosario con le figure della Madonna Santissima…..” (ASBr. Notaio Stefano Matera, C.24.I).

            Quella campana, ben visibile, da alcune finestre degli uffici del vecchio municipio, a mio avviso, è ancora alloggiata sul campanile a vela a tre fornici della nostra chiesa. E’ un reperto di eccezionale valore.

            Il 6 giugno 1651 il duca don Cesare Lubrano, nel suo testamento lasciò 300 ducati perché la festa del SS. Rosario “…si sollennizzasse con maggiore pompa …” (ASBr., Platea…cit. p.2-3).

            La Cappella (altare laterale) dedicata alla Madonna del SS. Rosario, tuttora esistente, nella chiesa di San Domenico, fu costruita con lascito dei fratelli Pio e Giambattista Forlèo di Francavilla, i quali, il 16 marzo 1656, donarono, tra l’altro, al convento dei frati domenicani anche il frantoio oleario (trappit’) situato “…. subito fuori la Porta di Giuso….” angolo via Bottega di Nisco, “…con l’obbligo di celebrare due Messe settimanali in suffragio della loro anima …….”.

            Possiamo dichiarare, con certezza, che quell'Ordine, cosiddetto dei Predicatori, nel 1597, viveva già nella nostra città, da oltre sessanta anni. 

Chiesa e Convento di San Domenico

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Altri contributi dell'autore: Storia di Ceglie Messapica  -  Il Teatro Comunale di Ceglie Messapica  -  Studi e ricerche varie  -  Il feudo di San Michele Salentino


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