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  Tteatro.jpg (35354 byte)EATRO COMUNALE DI CEGLIE MESSAPICA

Il Teatro Comunale di Ceglie risale alla seconda metà del XIX secolo (1878), anni in cui la cittadina messapica conobbe un periodo esaltante  per le arti e le scienze, distinguendosi in tutta la Puglia. 

I lavori di intaglio della pietra gentile di Ceglie vennero eseguiti da locali maestri. La facciata, il solo elemento originario che si conserva dell' originaria struttura, è in sobrio stile neoclassico. Il manufatto architettonico,  ha svolto la sua funzione di teatro sino agli inizi del XX secolo.

Dopo anni di ristrutturazione, il teatro completamente rinnovato all'interno, ritorna al suo antico splendore: la capienza è di 350 posti: 194 in platea e 156 in galleria.

Il teatro comunale della cittadina messapica rappresenta un pregevole luogo d'arte, riconosciuto come uno dei più prestigiosi teatri storici di Puglia.

Programmazione in corso vedi news: eventi prossimi


Approfondimenti e studi  - TEATRO COMUNALE - di Pasquale ELIA

          La popolazione cegliese, fin dai tempi antichi, ha sempre avvertito il desiderio di avere un Teatro. La prima documentazione originale rinvenuta con all'oggetto Teatro Comunale risale al 12 agosto 1823. Proprio in quel giorno, infatti, il Consiglio municipale approvò una delibera per adattare alcuni locali dell'asilo infantile a Teatro per una spesa complessiva di ducati 732. Non si fece niente. Intanto le Autorità municipali per il successivo mezzo secolo continuarono ad inoltrare richieste di sovvenzioni alle varie istituzioni con risultati, purtroppo, negativi.

Il 30 novembre 1871 il Consiglio comunale deliberò la costruzione di un Teatro comunale nello stesso luogo dove si trovava l'asilo infantile. Furono interpellati gli architetti di fama Achille Rossi (di Lecce) e Ferdinando Ayroldi (di Ostuni) per adattare con opere opportune alcuni locali dell'asilo infantile a teatro. Non fu possibile trasformare, purtroppo, quei locali. Gli architetti dichiararono che avendo l'asilo i muri laterali malfermi e perciò non idonei a sostenere le occorrenti costruzioni perché staticamente non affidabili.

            Arriviamo al 22 gennaio 1872, giorno in cui il Sindaco Giuseppe ELIA convocò il Consiglio Comunale, in seduta straordinaria, con all'ordine del giorno Costruzione del Teatro.  Fu incaricato di redigere (1871) un progetto con pianta e disegno l'Architetto Ferdinando Ayroldi della Città di Ostuni, in seguito (1872), l’arch. Achille Rossi di Lecce, infine l’ing. Giuseppe de Donato (1872), anch’egli di Lecce.

In un primo momento, fu scelto un terreno situato nei pressi dell'allora Convento dei Frati Cappuccini propriamente vicino all'abitazione di Oronzo Suma fu Tommaso alla strada che conduce a Francavilla per una spesa complessiva di Lire 7457:34. A titolo di cronaca, su quel terreno fu poi costruito il carcere mandamentale che, nel 1944-46 fu adattato ad edificio scolastico, negli anni Cinquanta ripristinato carcere e quindi asilo. La delibera fu approvata a maggioranza (tredici voti su sedici).

Il 15 febbraio 1872, il progetto e i relativi disegni furono inviati alla Direzione delle Opere Pubbliche Provinciali di Lecce. Nel mese di aprile di quello stesso anno l'arch. Ayroldi fu invitato a presentarsi presso l'Ufficio Tecnico di quella Direzione per esaminare assieme il progetto che, a parere di quell'ufficio, era pieno di errori non tanto di calcolo quanto lo stesso disegno. Dagli atti in nostro possesso risulta che l'arch. Ayroldi non si presentò mai presso quell'ufficio, tanto che la progettazione e la successiva costruzione del Teatro fu affidata all'opera dell'arch. A. Guariglia di Lecce, lo stesso che progettò e costruì poi la Chiesa di San Rocco. La documentazione purtroppo è molto scarsa perché durante il ventennio fascista gran parte del carteggio custodito negli archivi fu portato al macero per il cosiddetto riciclaggio della carta.

Passarono gli anni e finalmente il Teatro fu costruito e dedicato a Giuseppe Giacosa (1847 - 1906). I lavori di muratura e di arredo furono appaltati, nel 1873, alla Ditta Angelo Specchia di Ostuni, e poi, nel 1876, alla Ditta Aurelio Galizia di Fasano.

Il Teatro fu inaugurato il 30 aprile 1878 con l’opera lirica “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi, diretta dal Maestro Salvatore Calamita della Filarmonica di Ceglie.

Il Teatro è ubicato nel centro cittadino ed è posto tra Corso Verdi, Via Pitagora e largo San Rocco ed occupa un intero isolato. Noi cegliesi abbiamo sempre conosciuto ed indicato quel teatro comunale come Teatro Verdi, forse perché l'edificio costeggia il Corso Verdi, ma come già detto era noto come Politeama Giacosa.

Per alcuni anni si rappresentarono spettacoli di un certo rilievo ed interesse culturale ed artistico, con la partecipazione di un numeroso, elegante ed appassionato pubblico proveniente anche e soprattutto dai paesi vicini (Ostuni, Francavilla, Martina, Cisternino, Latiano, Oria, Fasano, Grottaglie). Rammento che, all'epoca, la città più vicina con un Teatro era Brindisi (Teatro Verdi). Si dice che tutti gli spettacoli che venivano rappresentati al Teatro Petruzzelli di Bari facessero, poi, tappa a Ceglie, prima di raggiungere il capoluogo leccese. Non ho alcuna prova di questa mia asserzione, solo voci raccolte qua e là, ma, come si dice, vox populi, vox dei.

In realtà il nostro Teatro ebbe vita molto breve. Già il 18 settembre 1893, il Corpo Reale del Genio Civile - Ufficio Centrale di Terra d'Otranto con lettera n° 1440, a firma dell'ing. Capo L. PAPINI, relazionava la Regia Prefettura di Lecce con all'oggetto: Ceglie - lavori al Teatro comunale.  Il 17 gennaio 1894 l'Ufficio del Genio Civile di cui sopra con lettera n° 68 all'oggetto Ceglie - Teatro Comunale ….si ritorna a codesta Regia Prefettura con parere favorevole, per gli ulteriori incombenti. Il 9 marzo 1894 la Prefettura autorizzava il Comune di Ceglie ad effettuare i lavori a trattativa privata, per la copertura in tegole di marsiglia del teatro comunale. Lavori urgenti, ai sensi della legge comunale n°187.  I lavori di riparazione furono effettuati con la consulenza dell'ing. De Cataldis.

In seguito deve essere crollato il lucernario in vetro di forma quadrata di circa cinque metri di lato situato nella parte centrale del tetto. Durante il giorno esso doveva fornire luce alla sala. L'edificio, infatti, non aveva finestre, né porte laterali di emergenza. Queste ultime furono aperte quando il Teatro fu trasformato a cinema. Da quella falla aperta nel tetto entrava acqua, neve, freddo, caldo, sole, vento, polvere, deteriorando i tendaggi, le poltroncine e tutto l'arredamento in genere.

Per doverosa informazione, l'illuminazione pubblica nella nostra città, all'epoca, non era ancora elettrica, ma a petrolio, quella privata invece a petrolio o ad olio. Il primo progetto per l'illuminazione pubblica a Ceglie risale agli anni 1898-1903. Proprio in quegli anni fu costruita in città una centrale elettrica a vapore alimentata a carbone nei cosiddetti orti del Capitolo sita sul lato destro del palazzo Speciale, proprio di fronte al nostro Calvario. Quella centrale elettrica ebbe vita brevissima. La località viene ancora oggi indicata abbasc' a' central'.

Passarono gli anni e nessuno si preoccupò di fare qualcosa per salvare almeno il salvabile di quel bene comune. Il 5 ottobre 1909 venne incaricato per i lavori di restauro del Teatro Comunale l'ing. Salvatore Bernardini. La spesa per le riparazioni di cui sopra deve essere risultata esosa, per le finanze comunali di quel tempo, e dopo varie richieste di finanziamenti, le velleità di riavere un Teatro funzionante svanirono definitivamente e il progetto fu accantonato.

Intanto scoppia la Grande Guerra. I morti, i dolori, i lutti, le privazioni, la miseria, fanno passare in secondo ordine la riparazione del Teatro.

Il 2 maggio 1917, l'ing. Capo del Genio Civile di Lecce, incaricato dalla Regia Prefettura, effettuò un sopralluogo. Egli così relazionò la Prefettura di quella Città:   ……..si è proceduto sul luogo ad una accurata visita del vecchio Teatro Comunale di Ceglie Messapico e si è constatato che tale fabbricato abbandonato a se stesso da lunghi anni senza alcuna manutenzione, ora sono rimasti i quattro muri perimetrali esterni e nell'interno tre locali a pianterreno, a tergo il muro di prospetto ricoperto da malta in muratura e all'inizio della platea gran parte dei palchi di pianterreno e di fila. Di tutto il resto non esiste più nulla, tutto è sparito e consumato dal tempo e dalle intemperie…..

            Nel frattempo, nell'attuale Piazza Umberto I, una società composta dai Sigg. Andrea Palermo ed Oronzo Marseglia decide di costruire un Teatro con strutture prevalentemente in legno. In quel Teatro si esibirono per alcuni anni, in prevalenza, compagnie di marionette, quindi, diventò luogo di divertimento preferito dai bambini e non solo da essi. L'edificio era situato tre metri più alto circa dell’odierna sede stradale. Funzionò per alcuni anni ma nel 1925, un furioso incendio lo distrusse completamente.

Su quel terreno fu costruito, in terra battuta, dapprima un campo di basket, mai utilizzato a causa della guerra, poi diventò un mini campo di calcio dove in estate la domenica pomeriggio si esibiva una squadra (sette) di Ceglie contro quella di un paese dei dintorni. Negli anni Cinquanta fu sede del Mercato coperto.

Ceglie, agli inizi del secolo scorso, aveva grosse difficoltà per reperire aule scolastiche. Non esisteva un edificio scolastico. L'Amministrazione comunale utilizzava per due classi delle elementari due dei tre locali a pianoterra del Teatro comunale ormai abbandonato, una terza classe era sistemata in una casa della famiglia Agostinelli sita in via Roberto Sarfatti civico due. Inoltre esistevano delle scuole private, una gestita dalla Mestra Cinzina e l'altra dalle suore domenicane.

Molti giovani furono chiamati alle armi nel 1936 ed inviati in Africa Orientale, tanti poi non tornarono. Anche le Autorità comunali non trovarono più stimoli per le riparazioni del Teatro Comunale con il risultato che tutto andava in malora, scomparve anche il grande portone in legno dell'ingresso principale.

Durante i primi anni del secondo conflitto mondiale (1941), nel Teatro comunale abbandonato e mal ridotto, furono sistemati i cavalli degli Ufficiali di un battaglione della Div. Folgore. In pratica con il beneplacito dell'allora nostro caro Podestà il Teatro diventò la stalla per qualche decina di cavalli.

Al lato destro della fontana vicino alla Chiesa di San Rocco, fu costruito in muratura un abbeveratoio che attingeva acqua dalla stessa fontana per mezzo di un tubo in latta del tipo pluviale sistemato alla meno peggio con filo di ferro. Quell'abbeveratoio durante le ore calde della bella stagione diventava luogo di divertimento per i ragazzini della mia età. Spesso, infatti, tornavo a casa inzuppato come un pulcino e già da lontano sentivo gridare mia nonna (Madonna mea, u' piccinn' tutt' bagnat' - Madonna mia il bambino è tutto bagnato). Quei cavalli, tutte le sere, all'imbrunire, condotti a mano da un soldato, venivano portati all'abbeveraggio. Era lo spettacolo per i ragazzi e non solo. Ricordo che moltissima gente assisteva alla passerella seduta sui gradini del sagrato della chiesa.

Il battaglione di cui sopra in attesa di essere impiegato aveva sistemato il suo accampamento tra gli ulivi nei pressi dell'odierno Campo Sportivo (contrade Galante e San Nicola). Si trattava di un battaglione della Divisione Folgore. Quell'unità, giunta in Africa, fu schierata nella zona operativa, fronte sud di El Alamein tra le città di Dir el Munesib e Quaret el Himenat. Aveva di fronte la 44° Div., in rincalzo la 7° Div. cor.  Il Reparto in argomento partecipò con grande coraggio alle varie battaglie di quello scacchiere. Molti del suo organico, Comandante compreso, lasciarono la vita.

Nella primavera del 1943, in quello stesso luogo (contrade Galante e San Nicola) fu accampato anche un reparto tedesco in attesa di trasferimento in altra zona operativa. Con la dichiarazione di armistizio del giorno 8 settembre 1943, quell'unità germanica deve aver ricevuto l'ordine di risalire la penisola. Per raggiungere la strada che conduce a Ostuni, era d'obbligo attraversare per intero la nostra città, non essendoci ancora la circonvallazione, ora via don Rocco Gallone. Per tale motivo essi posizionarono una mitragliatrice su treppiede davanti all'allora Ufficio di Polizia Urbana (ora c'è un Bar e una cabina telefonica) in Piazza Plebiscito angolo Via Orto Nannavecchia. Quella mitragliatrice rifletteva una normale misura di sicurezza messa in atto da un reparto militare in sosta in territorio nemico. E' doveroso ricordare che l'Italia, con la dichiarazione di armistizio, si era schierata al fianco degli Alleati avendo dichiarato guerra alla Germania che fino a quel momento era stata la nostra partner.

La gente, presa dal panico, con ogni mezzo, ma soprattutto a piedi e a piedi nudi anche si rifugiò nelle campagne presso parenti, amici o conoscenti. Nel primo pomeriggio i Tedeschi avevano lasciato la città senza arrecare alcun danno a persone o a cose. Dalla stessa sera Ceglie ritornò alla normalità. E tutti sappiamo poi, quanti morti, deportazioni, dolori e lutti provocarono nella popolazione civile le rappresaglie intraprese dall'esercito germanico con spietata e fredda determinazione. La rappresaglia più vicina a Ceglie fu effettuata il 12 settembre 1943 a Barletta dove furono fucilati ben undici Vigili Urbani di quella città.

I resoconti che trasmetteva la radio, le notizie che faceva circolare la resistenza anche se del tutto inesistente nelle nostre zone, la mitragliatrice nella piazza principale, le notizie diffuse dal giornale (La Gazzetta del Mezzogiorno*), ingenerò nei cegliesi una tale paura che nel giro di alcuni minuti la città fu completamente abbandonata. La popolazione, composta per la maggior parte da donne, vecchi, bambini e giovani non ancora in età per essere chiamati alle armi, da anni viveva nel terrore a causa dei bombardamenti** portati dagli Inglesi sull'aeroporto di Grottaglie, sul porto e la città di Taranto, su un deposito di San Vito dei Normanni, sulla stazione ferroviaria di Mesagne, sulla città di Brindisi. L'esplosione poi di un deposito munizioni posto alla fine della via F. Argentieri, Palazzo Scatigna, aveva fatto il resto.

Finita la guerra, il Teatro comunale fu ristrutturato, alla meno peggio, e trasformato in cinema, e come tale, ha funzionato per alcuni anni, fino a quando negli anni Cinquanta non fu costruito il cinema Francesco Argentieri, certamente più elegante, più sobrio, più pulito, più luminoso. Da quel giorno il cinema-teatro comunale tramontò definitivamente. Veniva utilizzato come sala di ricevimento nelle feste nuziali. E pensare che per oltre un secolo le varie amministrazioni locali avevano combattuto, lottato e fermamente voluto quella struttura.

In quei locali si è svolta la vita domenicale delle generazioni post-belliche. Il cinema era l'unico svago domenicale (eccezion fatta per le cantine) dei giovani e anche dei meno giovani. Non c'era il motorino, non c'era l'auto, non esistevano i pubs, non esisteva un campo di calcio, non una palestra, niente discoteche, niente paninoteche, niente pizzerie, solo raramente qualche festicciola in casa fra amici e con la presenza costante di una gendarme, la quale non parlava mai, ma quando lo faceva si sentiva dire iusc' Sand'Ann'.

Nel 1981, furono programmate nuove opere di ristrutturazione e di consolidamento dell’antico edificio, ma per un motivo o per l’altro, queste non furono portate a termine. Dovettero passare anni e  l’11 aprile 1997 il Consiglio comunale con sua delibera n°23 approvava un “Progetto preliminare” con il quale furono individuati i lavori da farsi per la trasformazione del complesso. Fu deciso tra l’altro di destinare l’immobile ad “Auditorium” ed in particolare a “Sala concerti”.

Progettista dei lavori furono il Dott. Ing. Gianfranco Tonti di Taranto (capogruppo), il Dott. Ing. Stefano Tomassi, il Dott. Arch. Leda Ragusa e il Dott. Arch. Tommaso Elia; collaborò al progetto il Dott. Ing. Pasquale Suma, i lavori, invece, furono eseguiti dalla ditta Valentini di Locorotondo. Alla fine della ristrutturazione il teatro risultò dotato di 382 posti a sedere di cui 226 in Platea e 156 in Galleria.

Il complesso è stato provvisto di impianto di condizionamento estivo e riscaldamento invernale mediante una centrale di trattamento aria ubicata sulla copertura. Tale centrale di trattamento viene alimentata in inverno dalla centrale termica sita a piano terra, e d’estate da un gruppo frigorifero posto anch’esso sulla copertura. L’edificio, con i lavori di cui sopra eseguiti, è stato adeguato tenendo conto soprattutto della nuova normativa sulla sicurezza.

Il Nuovo Teatro fu inaugurato il 18 del mese di febbraio 2002, alla presenza delle maggiori Autorità civili, militari e religiose della provincia di Brindisi.

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* La Gazzetta del Mezzogiorno era l'unico quotidiano che arrivava a Ceglie, in quegli anni, quando arrivava, e con molto comodo, nella tardissima mattinata (10.30-11.00). Solo pochissime copie, così distribuite: Sig. Giacomo (Lillino) Nannavecchia, edicolante in Piazza Plebiscito, don Glicerio Campanella, farmacista in Via Dante, locale fio a pochi anni fa occupato da un Parrucchiere; Signor Francesco (Ciccillo) Locorotondo, commerciante, con negozio di ferramenta in Via Dante, ora Ristorante; don Nicola Urgesi, possidente, con abitazione in Via San Rocco; don Francesco (Ciccillo) Epifani, insegnante, con abitazione nei pressi della Chiesa di San Demetrio; don Ciccio Biondi, possidente, con abitazione in Via Pietro Elia; altri, di una certa levatura sociale e culturale, leggevano i titoli importanti nella farmacia Campanella, i più, nel negozio Locorotondo. Questi erano i due luoghi dove si parlava di cultura, di arte, di musica, di sport (Giro ciclistico d'Italia), di scienza, di barzellette. Chi scrive riceveva, ogni giorno, da don Glicerio un cioccolatino, a volte, su strizzatina d'occhio del padre, quel cioccolatino diventava anche purgativo.

** Durante i bombardamenti, a quanto ricordo, sempre notturni, la popolazione cegliese riparava nelle campagne circostanti. Nel buio della notte (da Taranto, da Brindisi e dall'aeroporto di Grottaglie) s'innalzavano i grossi fasci luminosi delle potenti stazioni fotoelettriche che, nel frattempo, erano entrate in funzione. Quei fasci di luce visibili nel nostro cielo, si rincorrevano alla caccia e alla cattura di aeromobili.

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Ringraziamo il Colonnello Pasquale Elia  per la gentile concessione alla pubblicazione on line di estratti dei suoi studi.

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